Studiare in Brasile: le opinioni di chi l’ha fatto

Fra aule e onde, lezioni ed escursioni, il semestre di uno studente dell'Università di San Marino appassionato di surf e a caccia di novità

Quattordici ore sul sedile di un autobus, di notte, sonnecchiando per quasi mille chilometri di viaggio da Curitiba a Rio de Janeiro, in Brasile. Poi a spasso per le vie della città carioca, le infradito abbandonate e i piedi nella sabbia. Le onde dell’Atlantico sulle quali si avvicina l’ombra dei palazzi, alti e pieni di terrazzi. Sullo sfondo, le montagne sudamericane impennano immergendosi in un verde via via più profondo.

La vetta più alta, Corcovado, è come una calamita. Lassù c’è la celebre statua del Cristo Redentore, collocata a oltre 700 metri di altitudine, alta 38 metri. Le braccia larghe, solenni, i palmi rivolti verso l’alto.

Ai suoi piedi Alessandro Tornati, 22 anni, originario di Pesaro. Ammira il panorama, ne subisce il fascino. La vastità del mare, la varietà della metropoli. Poi ruota lo sguardo. E incontra la favela: una baracca sopra l’altra, un’emergenza a cielo aperto.

Dalla quiete all’inquietudine, in un attimo. Lui, studente dell’Università di San Marino impegnato in un semestre di studio in Brasile, ci ha riflettuto parecchio, su questa inaspettata e incoerente visione.

Quegli ambienti così poveri li ha integrati anche in uno dei progetti ai quali ha lavorato nella cornice del corso di laurea in Design, al quale era iscritto. E che gli ha dato la possibilità di volare proprio in Sud America.

Mi ha raccontato la sua esperienza in questa intervista: all’insegna dello stare insieme, del buttarsi e della ricerca di un equilibrio che non è solo esteriore, ma anche interiore. 

 

Partiamo proprio dalle favelas: come ci sono finite nei tuoi progetti universitari?

Da studente di Design, mi sono ispirato al concetto di riutilizzo dei materiali: le persone che vengono da lì vanno in giro per la città a raccogliere i rifiuti per strada e poi li rivendono. E se invece quei materiali potessero avere una seconda vita? Ho fatto degli esperimenti con della carta, acqua e collanti, ottenendo un composto che si riesce a modellare. Ci si possono ottenere degli oggetti, derivati così da materiali riciclati. Ha fatto parte della mia tesi di laurea.

Nelle favelas ti ci sei avventurato?

Ne avevamo una proprio dietro all’università. Mi riferisco alla città di Curitiba, dov’ero stato assegnato, nel campus della Pontificia Universidade Catolica do Parana. C’era degrado, certo, ma non criminalità e pericolo come a Rio, dov’ero stato come turista. Lì si percepiva una situazione più ‘spinta’. Si poteva assistere a scene allucinanti. Ne avevo sentito parlare, ma finché non lo vedi non immagini cosa significa. 

Vedere questa realtà così diversa dal contesto da cui venivo, cioè l’Italia, mi ha fatto riflettere tanto. È stato l’aspetto più difficile da affrontare, in un certo senso. 

Quando sei arrivato in Brasile come ti sei sistemato?

Una premessa: quando ero ancora a San Marino, per raccogliere informazioni, avevo contattato una ragazza che aveva già fatto l’esperienza in Sud America. Da lei ho ottenuto il numero dello studentato in cui aveva alloggiato, che ho subito chiamato per fermare una stanza. 

Si trattava di un edificio composto da tre appartamenti, nei quali vivevamo in trenta. Gli ingressi erano vicini e in comune c’erano la cucina e un giardino. Eravamo quasi tutti europei. Diciotto francesi, due ragazzi belgi, una brasiliana, una coreana,  due messicani e così via.

Come ti sei trovato in quel mix?

Sono un tipo estroverso, uno che attacca bottone, mi piace conoscere gente nuova. Quindi bene. 

Com’è stato vivere la città, magari quando uscivi la sera?

Mi buttavo sempre, anche se la lingua era un limite. Una volta ho iniziato a parlare con una ragazza dicendole una serie di cose che a me sembravano molto carine. Ma a un certo punto lei si è girata e se n’è andata scocciata. Il giorno dopo, raccontandolo ai miei amici, ho scoperto che l’avevo praticamente offensa. Che figuraccia…

E l’università?

Immersa in una città da quasi due milioni di abitanti, la Pontificia Universidade Catolica do Parana ha un campus gigante che ospita tutte le facoltà. Per quanto riguarda Design, il piano di studi era strutturato diversamente dal nostro a San Marino. Potevi scegliere le materie a tua discrezione e nell’ordine che volevi, senza seguire un percorso graduale come succede da noi. Le classi erano spesso miste, con persone più adulte e altre più giovani, alcune agli inizi e altre già a uno stadio avanzato del proprio cammino verso la laurea.

Perché eri partito?

A me viaggiare piace molto. Al liceo non ero riuscito a fare l’esperienza del quarto anno all’estero ed ero rimasto, diciamo così, con l’appetito. Ho scelto di iscrivermi all’Università di San Marino anche perché propone più mete extraeuropee rispetto al classico programma Erasmus che c’è in Italia. 

Sono partito per il Brasile nel giorno di San Valentino, era il 2022. Sono rientrato in luglio. 

Una cosa che non hai fatto, quando eri là?

Vedere l’Amazzonia. Ma sarebbe stata una spesa troppo grossa.

 

In Brasile hai avuto l’opportunità di entrare in contatto con tante cose nuove: hai imparato anche qualcosa su te stesso?

Ho avuto una conferma: amo il surf. Le onde dell’oceano Atlantico erano una vera figata, diverse da quelle del Marocco e della Spagna, che conoscevo già. 

Cos’è per te il surf?

Benessere fisico e adrenalina. Il fatto di stare in piedi sull’acqua mi affascina. Prima di praticarlo pensavo fosse una questione di velocità, mentre è tutto un affare di equilibrio e pazienza. Devi osservare e conoscere il mare, la potenza delle onde, stare attento ai fondali sapendo se sono sabbiosi o rocciosi, fare attenzione ai coralli, perché puoi restare impigliato. Devi entrare in contatto con la tavola, stabilire una connessione, e far funzionare tutti questi elementi. Si tratta di combinazioni. Non c’è nulla di casuale.

E poi, il ritmo: non si può avere fretta: quello che va assaporato è il processo di ricerca dell’equilibrio. Il brivido della velocità e dell’altezza delle onde viene dopo. 

In chiusura: le tre cose fondamentali, secondo te, per un semestre accademico all’estero. 

Fegato, voglia di esplorare e spirito di adattamento. Non serve nessun oggetto particolare. Basta riempire le valigie di positività.

 

Intervista e ritratti di Laura Pesenti
Foto di Alessandro Tornati e Luan Goncalves