Sette parole che farebbero tiltare i nostri prof

Fra le aule dell’Università di San Marino a caccia delle espressioni più originali: fra gondole e videochiamate, risse e sessioni di shopping

Un giorno, era autunno, sono uscita a Rimini con due compagne di classe delle Superiori. Persone abbastanza diverse, ma sai com’è: è un po’ come in laboratorio, si fanno esperimenti per capire se c’è chimica.

Succede che siamo in centro a fare le vasche, cioè avanti e indietro sul corso chiacchierando, quando queste due iniziano a litigare.

Il contendere: un ragazzo.

La prima c’era stata insieme un po’ di tempo prima, la seconda aveva una relazione con lui proprio in quel periodo. E insomma, la prima si mette a provocare la seconda dicendo che il tipo pensava ancora a lei. La seconda c’è rimasta male.

La faccenda degenera e culmina con le due che iniziano a pullapparsi sotto l’Arco d’Augusto e io che provo a fare da paciera. 

La stavo raccontando a un mio compagno di corso all’Università di San Marino, questa storia, quando è passato lì vicino un prof che si è fermato stupito: “Cosa significa pullappare?”

Il giorno dopo ero a casa mia, in camera, seduta davanti allo schermo del portatile, in collegamento insieme ad altri studenti con una prof del corso in Comunicazione e Digital Media.

Il motivo della videochiamata collettiva: la revisione di alcuni progetti di informatica.

A un certo punto la docente è partita con un discorso lungo e articolato.

Pietro, uno degli studenti, forse perché aveva attivato il microfono in attesa di poter parlare, oppure in un atto di protesta kamikaze, è intervenuto di punto in bianco interrompendo il monologo. 

“Questa prof mi sta facendo proprio tiltare – ha detto – non devo tiltare!”

È calato un certo imbarazzo. Cosa significava tiltare, la docente non lo sapeva. Ma dal tono dell’esclamazione di Pietro, che appariva come un tentativo di self control, si capiva abbastanza bene. 

Questi episodi mi hanno fatto riflettere: quante volte utilizziamo dei termini pensando che agli altri siano chiari? Si tratta di dare per scontato qualcosa che non lo è affatto. Soprattutto fra persone di generazioni e territori diversi. 

Così, presa dalla curiosità, ho fatto una piccola indagine nelle aule della mia università.

Ecco cos’ho raccolto.

Nicolò si è coppato le scarpe

“L’altro giorno ero a Rimini, in un centro commerciale. Sono entrato da Footlocker e ho visto un paio di tennis molto originali che hanno catturato la mia attenzione. Non ho avuto dubbi, le ho coppate al volo. Uso la parola cop, per dire che acquisto qualcosa che desidero intensamente”. 

Le pullate di Laura

“Le carte Pokémon sono la mia passione, ci gioco spesso e casa mia è il punto di ritrovo di tanti amici sfegatati come me. Ogni carta rappresenta un personaggio di questo universo fantastico in cui convivono con gli esseri umani. Ci sono degli scontri e in base a una serie di possibilità e valori si vince e si perde. Ad ogni modo, qualche sera fa io e gli altri eravamo nel mio salotto e dovevo pescare una carta. Così ho detto: ‘Ok ragazzi, adesso pullo’. Subito mia madre, dalla cucina: ‘Che termine è mai questo?’ Più tardi le ho spiegato tutto. È stato esilarante”. 

Pietro impreca col joystick

“Sì, sono sempre io, quello che ha urlato alla prof durante la videochiamata. Tiltare è una parola che uso soprattutto quando sono impegnato con i videogiochi. Mi capita di farmi prendere parecchio e quando c’è qualcosa che non mi viene, o che non mi quadra e rischia di farmi sbroccare, mi esprimo così: ‘Sto tiltando! Oppure: ‘Non mi fare tiltare!’”

Il viaggio in gondola di Asia 

“Sono a Venezia in vacanza con i miei genitori, quando decidiamo di fare un bel giro in gondola. A bordo mi aspettavo il classico tipo con la maglia a bande orizzontali, invece è apparso un esemplare tutto particolare. Indossava una tuta, palese imitazione Gucci con una bella e arrogante scritta Cucci. Che maranza! È una parola che uso per descrivere chi si veste in maniera inutilmente eccentrica, con capi d’abbigliamento visibilmente fake. Comunque il gondoliere era molto simpatico e ci ha fatto ridere tantissimo. Gli consiglio più cura nel guardaroba”.

La sete di Giorgia

“Sono in centro con gli amici. Voglio andare a bere qualcosa prima di cena. Che dico? Aperitif amioe. L’espressione viene da Milano, mi pare. Spopola su TikTok”. 

Con gli studenti potrei andare avanti all’infinito, ma temo di titlare. 

Così passo ai prof. Loro, quali bizzarre espressioni di gioventù ricordano?

La divora pasticcini faceva puffi 

“Quando frequentavo il liceo, proprio a San Marino, l’autobus ci scaricava a circa cinque minuti di camminata dall’istituto”, racconta Maria Elena D’Amelio, docente di Teorie e tecniche dei media. “Lungo il percorso da fare a piedi c’era una pasticceria con annesso laboratorio, e non vi dico il profumo. Ogni tanto capitava di saltare la scuola. Di nascosto. E che si faceva? Ci si infilava in pasticceria. Lì ho mangiato le paste più buone di sempre. Penso fosse una combinazione di cose. Non solo i sapori, ma anche l’atmosfera, le emozioni, il senso di trasgressione misto all’adrenalina. Se ci avessero beccato, sarebbero stati guai. Quelle mattine, facevo puffi”. 

Fare filone col pallone

“Anche io, che sono originario di Napoli, facevo qualcosa di simile”, dice Antonio Laurino, prof di Scrivere per il web e New business writing. “Un giorno con i miei compagni di classe abbiamo saltato le lezioni e siamo andati al parco a giocare a pallone. Divertente, sì, ma per un crimine del genere occorreva maggiore capacità di calcolo e analisi: quando sono rientrato a casa, stanco morto e tutto sporco di fango, i miei genitori non ci hanno impiegato molto a capire che avevo fatto filone. Non si sono arrabbiati troppo. Ma la sgridata me la sono presa comunque”. 

Un lavoro sesquipedale

“Una volta uno studente mi presentò una tesina così ben fatta che mi stupì”, ricorda Francesco Muzzarelli, in cattedra nel corso di Public speaking. “Congratularmi mi sembrava il minimo: ‘Se presenterai il lavoro in maniera eccellente avrai un successo sesquipedale’, dissi. Mi aspettavo un sorriso appagato, forse un ringraziamento. Invece il volto del ragazzo si fece imbarazzato. Poi triste. Buio. Pensava che sesquipedale, vista l’assonanza con pedale, avesse a che fare con un lavoro pedestre, di basso livello. Insomma, ci è rimasto male”.

Ma prof, è andato fuori tema! Qui parlavamo di slang, non di parole antiche.

Va beh, pazienza. Chiudo spiegando cosa significa pullappare: un sacco di cose. Bisticciare, per esempio, o picchiarsi. Alcune comitive lo usano per dire che stanno andando a prendere una persona per darle una bella lezione. Si usa anche per dire che una cosa è stata pulita. 

A proposito, ora vi devo salutare. Devo pullappare la cucina. Adios. 

 

Articolo di Giulia Bencivenga
Illustrazioni di John Bucarest