Sonia Zapis studia Comunicazione e Digital Media all’Università di San Marino: in quest’intervista ci racconta sfide e successi di una vita in movimento
L’atmosfera è elettrizzante. Si respira, si percepisce. Nonostante al teatro Tarkovsky di Rimini la platea da circa 500 posti sia pressoché deserta.
È il 1° giugno 2023, pomeriggio.
Zero pubblico, ma quanto baccano dietro le quinte. Chi si scalda, chi prova il costume, chi si avvia verso il palco per le ultimissime prove. In serata ci sono i saggi di Dancestudio Rimini, una scuola con oltre dieci anni di attività alle spalle. Le istruttrici corrono avanti e indietro, provano le luci, qualche aggiustamento alla scenografia.
Sonia Zapis è lì in mezzo. Ventidue anni, di Rimini. In pausa, seduta a terra, spalle al muro: il piede destro che sembra segnare il beat di un brano hip hop, gli occhi che vanno da sinistra a destra seguendo le righe di una dispensa d’appunti di economia.
È un periodo denso, per lei. Oltre al saggio ci sono da preparare gli esami della sessione estiva del corso di laurea in Comunicazione e Digital Media dell’Università di San Marino, dov’è iscritta.
Quanto le costa, conciliare studio e danza? Come riesce a progredire in entrambi? E cosa la spinge?
Per scoprirlo l’ho incontrata e intervistata. Frequentiamo lo stesso programma triennale, ma a volte il tempo per conoscersi meglio, come si deve, sempre non esserci mai. Bisogna prenderselo con forza.
Noi l’abbiamo fatto. Ecco cosa ci siamo dette.
Innanzitutto: studio e danza hanno mai interferito fra loro?
Sono abituata ad affrontare questo doppio impegno da quando sono piccola. Mi esercitavo ballando di sera e studiavo quando avevo finito, prima di andare a letto.
Le cose, in ogni caso, si incrociavano e lo fanno ancora: spesso mi ritrovo a portare con me le dispense universitarie e gli appunti alle lezioni di danza e ai saggi, cercando di sfruttare ogni buco libero.
Il fatto è che al ballo non posso rinunciare. È la mia vita. Ho imparato a fare dei sacrifici e mantenere la rotta, non ho mai saltato una lezione di danza.
Cosa significa, per te, ballare?
A volte mi ritrovo di fronte a dei giudici, altre a un pubblico o semplicemente a degli amici. L’obiettivo non cambia: trasmettere la mia autenticità. Voglio che ogni movimento rifletta chi sono. Ballando si possono comunicare emozioni e storie in modo decisamente coinvolgente.
Per me è uno sfogo, un mezzo d’espressione. Una passione diventata un lavoro, perché fra serate in discoteca, eventi pubblici, feste private e via dicendo, di opportunità da raccogliere ce ne sono eccome.
La danza è un allenamento completo che coinvolge corpo e mente. Richiede un immenso sforzo energetico. I movimenti sono decisi e potenti. E poi i passi, le coreografie, la sincronizzazione con la musica. Mi spinge al limite. E mi fa sentire bene.
Essendo una persona che parla poco, ho bisogno di trasformare tutto ciò che sento in movimento, permettendomi di liberare ogni tensione.
Qual è stato l’aspetto più difficile del tuo percorso?
Smettere. Ma per un po’ ho dovuto farlo. Soffrivo di alcuni disturbi alimentari e al culmine degli episodi i miei genitori hanno deciso che per un certo periodo avrei dovuto fermarmi, con la danza. È stata la parentesi più difficile della mia vita, durata un paio d’anni. Ero arrivata a un punto in cui la sofferenza era così intensa che non riuscivo più a immergermi nei pensieri e nelle emozioni positive che solitamente mi accompagnavano quando ballavo.
Poi le cose sono migliorate, anche se attraversando mille difficoltà.
Ne sei uscita più forte?
Con una mentalità nuova, direi. Quest’esperienza mi ha messa in contatto con ciò che ballare significa, per me. Quando ho ricominciato con la danza, l’ho usata come qualcosa di utile per superare definitivamente ciò che avevo alle spalle.
È stata la mia salvezza. Soprattutto quando la mente veniva tormentata dai pensieri tossici. Era un rifugio sicuro. Dicevo a me stessa: “Basta, accendi la musica e vai in sala”.
In che modo la danza ha influenzato la tua vita da universitaria?
Innanzitutto, mi ha insegnato il valore della sfida e della perseveranza. A superare i limiti fisici e mentali, a spingermi oltre anche quando ero stanca o pensavo di non farcela più. Nello studio riesco a esprimere la stessa determinazione.
Poi ci sono i benefici per la memoria: imparare coreografie complesse e sequenze di movimenti richiede un notevole sforzo mnemonico, che si traduce in una maggiore abilità, in questo senso, anche negli studi accademici.
La danza ha pure contribuito a sviluppare la mia sensibilità. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, a cogliere le sfumature dei movimenti e interfacciarmi con gli altri ballerini. Questi aspetti emotivi e relazionali si sono rivelati molto preziosi all’università, soprattutto quando in aula affrontavamo materie legate alla psicologia, ma non solo.
Di aspetti positivi ce ne sono parecchi, insomma.
E non sono finiti. La danza mi ha insegnato a organizzarmi e a gestire il tempo in modo efficiente, visti gli appuntamenti che devo assecondare.
Il tuo percorso di studi è in parte incentrato sui social: come li usi?
Ci sono piattaforme che mi offrono opportunità incredibili, per mostrare al mondo ciò che amo fare.
Nelle selezioni per alcuni lavori, casting e altre attività, spesso mi viene richiesto il profilo social, che dev’essere quindi fatto come si deve.
Da utente posso inoltre scoprire nuove compagnie di danza, accademie e contest. Posso osservare le performance degli insegnanti, seguire giurie esperte e rimanere aggiornata sulle ultime novità.
Un altro aspetto che trovo prezioso è la possibilità di ricevere feedback e apprezzamenti. Questi incoraggiamenti mi spingono a continuare a lavorare sodo e migliorare.
Quale social utilizzi di più?
TikTok, soprattutto per scoprire nuove musiche e basi per le performance. La vasta gamma di brani disponibili mi offre un’ampia scelta per creare coreografie che mi attraggono o che rispecchiano la mia personalità.
E poi lì non ci sono limiti alla partecipazione: chiunque può mostrare il proprio talento e lasciare un’impronta unica nella comunità della danza. Questo stimola una cultura di sostegno reciproco e di crescita condivisa, in cui tutti possono apprendere dagli altri e ispirarsi reciprocamente.
Diventare virale: può non essere un’ossessione?
Certamente. A me piace pubblicare i video in cui ballo e avere la possibilità di influenzare e ispirare le persone.
Diventare virale potrebbe essere una possibilità, ma il mio obiettivo principale è condividere ciò che amo. Trasmettere emozioni.
Intervista di Alice Molari