Mentre studiavano danza Aurora e Susanna hanno orbitato attorno alla Scala di Milano e Monaco di Baviera, ma non si conoscevano: le abbiamo fatte incontrare e soprattutto parlare
Aurora tiene i piedi a papera, uno punta dritto e l’altro diagonale, o viceversa. Quando aspetta l’autobus sembra sempre sull’attenti, il petto in fuori. Le accade da quando era bambina. Da quando la danza le è entrata dentro.
Anche Susanna è una che si nota, nel momento in cui la s’incontra: il mento verso l’alto, il collo disteso, le spalle allineate. Sovrappensiero, a riposo, tiene una mano sopra l’altra, nella sua posa la grazia e la protezione di chi fra i palmi ha custodito un sogno.
Il suo era di fare la ballerina professionista. Ma le cose cambiano, si sa. Dopo le scuole di provincia, le audizioni, le accademie in Italia e all’estero, ha deciso di svoltare. Si è iscritta all’Università di San Marino e ora studia Design. Proprio come Aurora. Un caso?
Conoscendole meglio ho capito che i loro percorsi, paralleli, hanno avuto tanto in comune.
Così le ho intervistate. Abbiamo parlato di tempo, fatica, disciplina. Palchi, aule, auditorium, specchi. E di lì giudizi, commenti, sfide.
Concentrarsi, organizzare, gestire gli stress. Succedeva – ieri – nella danza. Succede – oggi – nello studio.
Aurora Cima, 21 anni, capelli scuri, dalla provincia di Pesaro – Urbino. Susanna Russing, 23 anni, capelli chiari, originaria di San Marino.
Per loro la danza non è finita. Ha solo cambiato forma. Ecco come.
Prendiamola larga: quando avete iniziato con la danza, dove vi ha portate e come siete finite a studiare a San Marino?
AURORA
Sono partita a quattro anni insieme alla mia sorella gemella. Frequentavo una scuola di Macerata Feltria, vicino a casa. Poi mi sono spostata a Urbino e Civitanova Marche, dove ho trascorso un paio di mesi prima di un’audizione per entrare alla Scala. Avevo 11 anni. La selezione era divisa in tre fasi. Passate le prime due, mi sono trasferita per un mese a Milano per prepararmi alla terza. Ma non l’ho superata.
Dopo ho studiato a Pesaro e Rimini, che da raggiungere era abbastanza scomoda. Per la mia famiglia l’organizzazione era complicata, avendo una gemella e altri due fratelli. Ho smesso quando facevo la prima superiore. All’Università di San Marino sono arrivata dopo aver iniziato Architettura al Politecnico di Milano. Ma non faceva per me.
SUSANNA
Ho iniziato a tre anni e mezzo. Per più di dieci ho frequentato il Centro Danza Attitude di San Marino, la realtà in cui sono cresciuta. Volevo fare questo nella vita, la ballerina. A 17 anni mi sono spostata a Monaco di Baviera, in Germania, per frequentare il Bottaini Merlo International Center of Arts. Sono stata due anni in accademia e mi sono diplomata. Poi Reggio Emilia per un corso di perfezionamento, danza contemporanea.
A quel punto avevo capito che sarei andata incontro a una carriera precaria. C’era anche un fattore economico: lontana da casa da tanti anni, pesavo molto sui miei genitori. Così ho deciso di tornare a San Marino. Ora insegno nella scuola che frequentavo da bambina e vado all’università.
Negli studi, cosa vi portate dietro della danza?
AURORA
La determinazione. Perché studiare da ballerina richiede tanto sacrificio. Ricordo quando mi sono messa le punte ai piedi, cioè le classiche scarpette in tessuto di raso, per la prima volta. Si possono usare anche con una protezione in silicone, per farsi meno male, ma l’insegnante diceva che dovevamo sentire il piede lavorare. Ne avremmo tratto beneficio nei periodi successivi, sopportando più facilmente la fatica. Ma lì per lì, uscivamo dalle lezioni con i piedi pieni di vesciche e sangue.
Nella danza classica è così: mentre ti eserciti senti il corpo che lavora, dal bulbo del capello fino all’ultima unghia del piede. È quella la sensazione, non sempre gradevole. C’è sacrifico. Serve convinzione.
SUSANNA
Fra le varie cose, ora mi godo le conseguenze positive dei rapporti che ho avuto con le persone più adulte di me. I coreografi per esempio mi facevano parecchie domande per capire se avevo dei dubbi su un certo esercizio e per me era difficile, perché le conversazioni si svolgevano in gruppo e sono timida. Divietavo rossa, mi tremava la voce. Poi sono migliorata. Ora, quando mi confronto con i professori, sento di avere la situazione sotto controllo. A volte noto che i miei colleghi non fanno determinate domande per imbarazzo, oppure perché pensano di dare un’impressione negativa. Io mi sento libera.
Praticare danza ha significato fra le altre cose organizzare il tempo e affrontare degli stress?
AURORA
In prima superiore uscivo da scuola alle 13, tornavo a casa e mezz’ora dopo dovevo già essere pronta per uscire, farmi una bella macchinata e iniziare la lezione di danza, di tre o quattro ore. Funzionava così per quattro giorni la settimana. Rientravo la sera alle 22 e iniziavo a studiare. Per forza, impari a organizzarti. Ora che sono all’università, è un bell’aiuto.
SUSANNA
Nella danza non mi fermavo mai. Se mi facevo male a livello fisico, anziché stare ferma, continuavo. Ho capito che non va bene: bisogna dare ascolto a sé stessi e al proprio corpo.
Ora prendo le cose in modo diverso. Un esame, se non lo supero, lo posso ridare. Non bisogna esagerare fissandosi sulla necessità di farlo bene al primo colpo.
Visto che abbiamo parlato di esami, un altro aspetto che si ritrova nella danza e negli studi, anche se su livelli diversi, potrebbe essere il giudizio, che si lega anche a un contesto nel quale si è in competizione.
AURORA
Facendo molti stage e concorsi, da ballerina, sei continuamente esposta. Vieni valutata da persone che ti vogliono in forma, impeccabile nei movimenti e nel portamento, ordinata e persino poco abbronzata nei periodi estivi, perché il segno della tintarella poteva interferire con la forma dei body.
Nella danza quando ti eserciti sei costantemente circondata da specchi. Per me ha avuto un peso non indifferente durante l’adolescenza. Capitavano giorni nei quali la mia immagine mi infastidiva, non mi piacevo. Col tempo ho imparato a essere meno severa. Ho capito che il mio valore va al di là dell’aspetto fisico e delle prestazioni.
Avendo una gemella, inoltre, sono sempre stata esposta al paragone. Ma col tempo le cose sono cambiate. Ora mi confronto con me stessa, non con gli altri. Con i miei limiti, i miei obiettivi. La competizione è ok, ma va gestita. Ti può stimolare, ma non deve diventare distruttiva.
SUSANNA
Il giudizio è stato difficile da affrontare, ma mi ha insegnato a non lasciarmi sopraffare dai commenti negativi. Spesso erano riferimenti al mio fisico. “Hai i fianchi larghi”, per esempio. “Ti si vede il pranzo nella pancia”. Quando insegno danza, adesso, faccio attenzione a non replicare nulla di simile con le mie allieve.
Sul fronte della competizione, penso che la si possa affrontare in maniera più o meno sana. Ho vissuto sulla mia pelle episodi poco belli, come casi in cui delle persone hanno fisicamente bloccato l’ingresso mio e di altre ballerine sul palco di una performance. Ho imparato anche da questo: a non lasciarmi distrarre, né influenzare.
Finora abbiamo parlato di sfide: un bel ricordo legato alla danza, invece?
AURORA
Il primo concorso vinto insieme a mia sorella, a Cagli. La coreografia era un passo a due montato dall’insegnante della mia vecchia scuola, a cui ero particolarmente legata. Indossavamo dei tutù carinissimi, il gonnellino bianco aveva la forma di una nuvoletta, c’era un ombrello che ci scambiavamo. Il tema era la pioggia. Era qualcosa di insolito e divertente.
SUSANNA
Le performance sul palco, in generale. Andare in scena e sentire l’adrenalina che precedeva l’entrata, l’eccitazione e la consapevolezza che il mio lavoro veniva apprezzato dal pubblico, anche se solo per pochi minuti, mi piaceva tantissimo.
Guardandovi indietro: nel proprio percorso conta di più il talento o la dedizione?
AURORA
Nella danza avevo più talento che passione. Altrimenti avrei proseguito. I risultati che ho raggiunto sono arrivati perché mi venivano abbastanza naturali, in un certo senso facili. Gli sforzi richiesti erano più mentali che fisici. Coinvolgevano affrontare allenamenti continui, un’alimentazione rigida. Un lavoro enorme e costante.
SUSANNA
Penso sia un mix, anche se la cosa più dura, anche per me, è stata sul piano psicologico. È un confronto con se stessi, che passa per la disciplina e le difficoltà. Il talento senza forza mentale non basta.
Ora studiate Design: cosa vi aspettate dal futuro?
AURORA
Il sogno è progettare scenografie, lavorare in teatro, a contatto con la danza, anche se non dal ballerina.
SUSANNA
Per me è lo stesso. Mi intriga l’idea di poter elaborare, per esempio, dei costumi. Ho inoltre un’idea per uno spettacolo in centro storico, qui a San Marino. Ci sto lavorando.
Interviste di Amelia Messina
Foto di Pierfrancesco Manfrin