All’Università di San Marino c’è gente col palato fino? Ma soprattutto, come ci si organizza per la pausa pranzo? Cucinare, andare in mensa, fare a caso: le soluzioni spaziano fra la cura maniacale e la pura necessità di sopravvivenza
Tarda mattinata, una di quelle fasi in cui a lezione, anche se il prof è super interessante, l’attenzione cala perché lo stomaco inizia a brontolare. Mi giro verso il compagno di corso più vicino e lo vedo con una mano sulla pancia, in faccia l’inconfondibile sforzo di chi cerca di non perdere il filo del discorso ma pensa ad altro. Probabilmente è affamato come un lupo. Anche lui.
Ci scambiamo uno sguardo d’intesa. Sappiamo entrambi che una certa catena di fast food (probabilmente la più famosa, inutile nascondersi) oggi ha un’offerta bomba: hamburger col bacon, bibita e patatine a meno di cinque Euro. Come resistere?
Certo, qualche disincentivo c’é. Studiamo all’Università di San Marino, nella parte alta della repubblica, e il fast food più vicino per noi si trova a Rimini. Sono 30 minuti d’auto e la nostra pausa pranzo dura un’ora: nella migliore delle ipotesi, mangiando al volo, possiamo rientrare in tempo sfruttando il celebre quarto d’ora accademico.
Poco più tardi sto sfrecciando su una Fiat Panda insieme a Tommaso, Anastasia ed Eva, che studiano Design insieme a me. Per fare prima, decidiamo di passare per le stradine di campagna evitando il traffico. È la scelta giusta: in 30 minuti siamo a destinazione.
Ed ecco il primo imprevisto: è pieno di gente. Gli studenti delle superiori hanno avuto la nostra stessa idea. Poi ci sono i turisti: intere famiglie, coi bambini e tutto. Riusciamo a superare lo sconforto iniziale e capiamo che ordinando attraverso i totem, negli schermi self service, si fa veloce.
Ma c’è da aspettare che l’ordine venga preparato. E per quello serve mezzora. Quando il cibo arriva, dovremmo già essere a lezione. Invece ci troviamo a Rimini e stiamo affondando i denti nei nostri hamburger.
Ci rimettiamo in auto con le pance belle piene, ma ci ritroviamo imbottigliati nel traffico. Arriviamo a lezione con un’ora e mezza di ritardo. Ci inventiamo una balla colossale. “Abbiamo accompagnato Anastasia a una visita medica”. Il prof la beve, o finge di berla perché non vuole storie. La vicenda, insomma, si conclude con un lieto fine.
Ma non è sempre così. Perché la pausa pranzo è spesso un rebus. Può andare bene o male, e a contribuire sono diversi fattori: dove si mangia, quanto si mangia, come si mangia, quanto si spende e via dicendo.
Per noi la fuga a Rimini è stata un’eccezione, non facciamo tutti i giorni così. Come gli altri studenti, viviamo di routine che dicono molto di noi: dalle abitudini, dagli aspetti che valorizziamo e da quelli che trascuriamo, emergono dei piccoli ritratti di chi siamo. Almeno sul fronte dell’alimentazione.
È più importante spendere poco o mangiare bene? Prepararlo a casa, oppure andarlo a cercare in qualche bar, supermarket o ristorante?
Per capirlo ho intervistato alcuni colleghi. Ecco cos’è emerso.
W la mamma
Alessia F., 22 anni
“Siccome prima di uscire di casa la mattina mia mamma si prepara il pranzo, abbonda con le dosi e ne dà un po’ anche a me. Si tratta spesso di pasta, alla quale aggiunge qualche snack”.
“Mi ritrovo così con un vero e proprio kit, nel quale possono esserci anche frutta, taralli, grissini e qualcosa di goloso, come cioccolatini e caramelle. Così, se mi si abbassa la pressione, ho degli zuccheri a porta di mano”.
“Insomma, mi faccio coccolare”.
Quello che capita
Alessia L., 20 anni
“Non sono un persona che fa molto attenzione a quello che mangia”.
“L’ideale sarebbe probabilmente alzarsi presto e cucinare qualcosa, ma spesso non ne ho voglia perché richiede tempo”.
“A volte mi porto da casa del cibo che non richiede chissà quale preparazione. Così unisco economicità e velocità. Nel mio caso, apro il frigo e la dispensa, vedo cosa c’è e improvviso. Magari ci scappa una piadina col salame”.
“Fino a qualche mese fa mia mamma lavorava in un bar e riusciva a occuparsi del mio pranzo. Quando ha cambiato lavoro, per un paio di mesi, mi sono cibata con gli snack delle macchinette automatiche. Poi ho scoperto il market, che offre fra le altre cose dei primi”.
“Il primo anno, per l’acqua, mi portavo la borraccia. Ma ho smesso perché è un peso un più da portare, oltre a quello del computer portatile”.
C’è la fila, che palle
Tommaso, 21 anni
“Se non mi porto il pranzo da casa, mi affido al market oppure alle macchinette automatiche, che hanno solo snack. Preferisco il primo per diverse ragioni: maggiore scelta, minor costo e porzioni più generose”.
“L’unico sbattimento è che per arrivarci devi camminare 5 – 10 minuti e a volte c’è la fila, che in estate con i turisti può essere lunga. Da bere prendo sempre un particolare energy drink, altrimenti non bevo. Nemmeno il caffè”.
No ai cibi processati
Alex, 23 anni
“Mi cucino il pranzo a casa e me lo porto dietro in alcuni contenitori in plastica, che sono riutilizzabili. Il mio metodo è preparare gli ingredienti la sera prima. Di solito si tratta di un sugo. La mattina cucino la pasta e metto tutto insieme”.
“Farlo per me non è un peso. Lo ritengo un ottimo modo per non mangiare troppi cibi processati”.
“Le mie scelte alimentari dipendono da quanto tempo ho a disposizione e da cosa mi va. Se ho lezione solo mezza giornata, per esempio, per pranzo torno a casa”.
“Quando invece sono in giro tutto il giorno e non ho portato niente con me, vado in piadineria oppure in un bar vicino alla sede dell’università”.
Freddo ma giusto
Sarah, 21 anni
“Mangiare sano per me è importante. Per farlo, il segreto è cucinare il più possibile. Cerco anche di ridurre il consumo di prodotti di origine animale, preferendo un’alimentazione tendenzialmente vegetariana”.
“Preparandomi le cose da sola posso scegliere cosa mangiare e spendere meno. Per l’acqua ho sempre la borraccia, mai comprata una bottiglietta di plastica”.
“Certo, dietro c’è un certo sbattimento. Occorre organizzarsi, fare la spesa e mettersi ai fornelli. Un disincentivo è rappresentato dal fatto che poi queste cose le mangio fredde. A volte non è il massimo, ma la vivo bene così. Non è un’imposizione. Si tratta di una scelta”.
“Per me mangiare sano significa avere equilibrio. In passato ho frequentato persone fissate con la dieta o la palestra e mi sono sentita a disagio. Alcune mangiavano sempre le stesse cose, super proteiche e povere di carboidrati e grassi. Mentre consumavano il loro riso col pollo, vedendomi con dei ravioli al formaggio mi hanno fatto avvertire una certa disapprovazione”.
Troppa roba
Giada, 24 anni
“All’Università di San Marino ogni studente ha diritto a una tessera attraverso la quale è possibile mangiare nella mensa pubblica. Si chiama Smac. La tariffa base è sotto i cinque Euro: include un primo, un secondo e un contorno. Ma è troppo per me, non mangerei tutta quella roba e la dovrei comunque pagare”.
“La maggior parte delle volte allora mi porto il cibo da casa”.
“Per la merenda magari un frutto, oggi una banana. Se la dimentico vado alle macchinette automatiche, ma di rado, perché è tutta roba grassa e zuccherosa”.
Cucino per più giorni
Laura, 24 anni
“Da quando ho fatto il tirocinio sono abituata a portarmi il pranzo da casa”.
“Faccio sempre più o meno la stessa spesa, quindi so cosa ho in casa. Per motivi pratici, quando cuocio del riso, non lo faccio solo per un pasto, ma per diversi giorni”.
“Per me la mensa non è particolarmente conveniente, dato che non prendo mai sia il primo che il secondo. Lì c’è sempre pasta, carne, pesce. A me non vanno tutti i giorni. È comunque una sicurezza: sai che in ogni caso, se vuoi, c’è un posto comodo dove ti puoi sedere e avere un pasto caldo”.
Mandorle a volontà
Samuel, 20 anni
“Per me è importante che il pasto sia completo e salutare. Di solito me lo porto da casa, con una buona porzione di proteine. Se mi faccio la pasta, sono 100 grammi ai quali ne aggiungo altrettanti di pesce o uova”.
“Come snack magari della frutta. Nel mio zaino ho anche una grande busta di mandorle che mi dura un intero semestre. Le mangio quando mi vanno. Sono una fonte proteica”.
“Bevo l’acqua della fontanella, usando la borraccia. Meglio così che sprecare le bottiglie di plastica e contribuire ai rifiuti”.
Interviste di Lucia Morri
Foto di Pierfrancesco Manfrin
I soggetti ritratti non corrispondono agli intervistati