I peggiori disastri dalle cucine degli universitari

Schizzi e spruzzi, fumi e ciotole in frantumi, morsi e rimorsi: storie che vanno dritte allo stomaco

Una torre di piatti nel lavello, multicolore e multiodore, costruita giorno dopo giorno da uno studente impegnato a preparare l’esame più imponente mai elaborato dall’accademia italiana. 

Un sacchetto pieno d’immondizia, solida e semiliquida, abbandonato in cucina da una coppia di universitari che stava per uscire e consegnarlo al cassonetto, quando si è improvvisamente sentita calamitare da un paio di Peroni fresche. Mentre sorseggiano e parlano in soggiorno, fagocitati da un morbido e paffuto divano degli anni 80, una poltiglia fluorescente si forma alla base del sacchetto. Cosa sia, chissà.

Frammenti di ordinaria vita universitaria, questi. C’è chi pulisce e chi se ne frega, chi ama l’igiene e chi se l’è dimenticata durante l’adolescenza, o forse non l’ha mai conosciuta, un bel dilemma. 

Ma il vero enigma, quello che divide gli universitari in due categorie divise da un muro di marzapane, è un altro: sai cucinare?

Mi chiamo Francesca Coppola, ho 20 anni e frequento il corso di laurea in Comunicazione e Digital Media dell’Università di San Marino. Fra i fornelli me la cavo e mi diverto pure: vivo da fuori sede in un appartamento del centro storico, due camere singole e altrettanti bagni, ci sono pure i terrazzi. Ma soprattutto: una cucina. Ampia, moderna e luminosa.

Ho una coinquilina che ha sette anni in più di me e studia Design: lei, non cucina mai.

Una sera, però, l’inaspettato. “Preparo io”. Cosa? “Segreto. Anzi, sorpresa”. Mmmh, interessante. “Un piatto preparato da mia mamma, che fa la cuoca”. Ancora meglio.

Lei in cucina, io davanti alla tv, in soggiorno. Per 40 minuti. Le aspettative: partite alte e cresciute durante l’attesa.

Il menù, ho scoperto, prevedeva polpette, purè di patate e verdure grigliate. Ero al settimo cielo: non mi trovavo di fronte a una cena del genere da mesi. Negli ultimi tempi, presa da mille cose, mi ero riservata una dieta fatta di pasta in bianco, tonno e piadina romagnola.

In bocca il primo boccone di polpetta. Gelo: viscida, amara e al contempo acida. La festa si è trasformata in un dramma. Disgusto, imbarazzo e delusione.

La coinquilina si è fiondata al telefono e ha chiamato sua mamma. Inferocita. Ci teneva, a fare bella figura. E invece. Hanno litigato fino alla domanda cruciale: “Hai cucinato le polpette prima di mettere la passata di pomodoro?”

Silenzio e rivelazione: avevamo mangiato delle polpette crude, immerse nel sugo.

Spaghetti killer

Quella volta il cibo è finito nella pattumiera. Ma ho un’amica che l’ha visto finire in un altro posto, meno comodo da raggiungere e quindi da pulire. 

Vittoria studia Design, ha 20 anni e abita con due ragazzi. Lascio che sia lei a parlare.

“Un giorno, dopo una lezione impegnativa, mi stavo preparando degli spaghetti al pomodoro per pranzo. Ho calato troppa pasta però, e così a metà ero sazia. Ho lasciato il piatto sul tavolo e sono andata in camera per riposare e distrarmi un po’. Quando sono tornata, un paio d’ore dopo, i miei due coinquilini mi stavano fissando con aria complice. E orgogliosamente colpevole”.

“Dovevano aver combinato qualcosa. Ma cosa? Ho iniziato a guardami intorno. Niente, non capivo. Poi uno di loro: ‘Spero che se ne stacchi uno proprio adesso’. Ho guardato in alto. Erano lì, gli spaghetti: sul soffitto, come colla dopo essersi raffreddati. Non tutti, però. Solo una manciata. Il resto era nel piatto”.

“Ne ho afferrato un pugno e l’ho lanciato a mia volta sul soffitto. La sfida: se cade prima uno dei miei, ho perso. E viceversa. Ma gli spaghetti sono rimasti aggrappati lassù, nessun movimento. Così, spazientiti, abbiamo preso l’aspirapolvere e avviato le operazioni di pulizia. Uno sulla scala, l’altro a sorreggere l’aspirapolvere. Io che tenevo il filo per sentirmi in qualche modo utile”. 

“Il tempo passa, ma la rosea traccia degli spaghetti killer, tinta col sugo, è ancora ben visibile sopra le nostre teste”.

Al fuoco

A volte questi pasticci sono causati da errori da dilettanti, altre da scherzi criminali. Altre ancora, si tratta di negligenza assoluta.

Me ne parla Asia, 19 anni, anche lei iscritta a Design.

“Un giorno, rientrata da lezione, la mia coinquilina ha deciso di indossare il grembiule e cucinare una torta al cioccolato. Per non disturbarmi, visto che stavo studiando in camera mia, ascoltava della musica con le cuffie. A un certo punto sono andata in cucina per prendere qualcosa e dietro di lei ho visto una palla di fuoco dentro al microonde. Mi sono bloccata, presa dal panico. Lei mi ha guardato innocente e stupita. Si è tolta le cuffie. ‘Che c’è?’, ha chiesto”.

“Si è voltata è ha notato il patatrac. Ma mica è intervenuta subito. È rimasta per qualche istante a guardare la fiamma, affascinata. Aveva combinato un bel macello: cioccolata dappertutto, melmosa o carbonizzata, una ciotola fatta a pezzi dal calore e una forchetta che, chissà perché, aveva lasciato là dentro”.

Sapete chi era la coinquilina di Asia? Beh io, Francesca.  

Confesso: non è la prima volta che combino qualche danno con le fiamme. E adoro osservare il fuoco mentre divora i materiali. Chiamatemi pure piromane: a mia discolpa posso dire che quella volta non si era trattato di un incendio doloso.

 

Articolo e video di Francesca Coppola
Foto di Sarah R