Due studentesse alle Canarie per una maratona green da non credere

Fra carnevali all’aperto e officine al chiuso, un tuffo nell’arcipelago spagnolo per un’esperienza fatta di fiato, fatica e riscatto

Corrono, Valentina Mini e Samanta Pazzini. A perdifiato lungo i corridoi di una struttura da oltre 10mila metri quadrati sull’isola di Las Palmas, nelle Canarie. 

Filano davanti ai portoni di sale, uffici, teatri e altri spazi. Una falcata dopo l’altra. Ma dove vanno?

Quasi non ce la fanno più. Il caldo percepito: equatoriale. Le stesse magliette indossate da due giorni, pregne di sudore. Una sottile sfiducia che monta: non è un’uscita di jogging questa. È una fuga. 

Valentina e Samanta si infilano in un sottoscala. Polveroso, angusto e in penombra: perfetto, per nascondersi. Anche se – lo sanno bene – prima o poi dovranno affrontare ciò da cui stanno fuggendo. 

Sedute a terra, spalle al muro, nel petto i colpi di un martello. Due amiche in missione per l’Università di San Marino, corso di laurea in Ingegneria Gestionale, dove studiano. Coinvolte in una maratona tecnologica insieme a centinaia di ragazzi da tutto il mondo, dal 1° al 4 marzo scorsi. Obiettivo: progettare e realizzare, in pochi giorni, un prototipo in grado di andare incontro alle esigenze dell’ambiente, all’insegna della sostenibilità.

Facile? Per niente. 

Tante cose da fare in poco tempo, collaborando con persone mai viste prima. Condizioni estreme, tutto nuovo e imprevedibile. Avere un momento di sconforto: normale. Occorrerebbe preoccuparsi del contrario.

I battiti del cuore si fanno progressivamente più lenti, per Valentina e Samanta. Qualche secondo di silenzio, forse minuti. Poi i loro sguardi si incrociano. Scoppiano a ridere. Il panico è evaporato, bastava qualche attimo di ossigeno.

Ma cosa le aveva portate lì, di preciso? 

Sono proprio loro a rispondere, in quella che doveva essere una tranquilla intervista su un’esperienza all’estero e si è invece trasformata nel racconto di due studentesse messe di fronte a qualcosa di inaspettato.

Insomma, cos’era successo?

La classica situazione che ora, a ripensarci, ci fa ridere a crepapelle. Le premesse: ci troviamo allo Smart Green Island Makeathon e facciamo parte di una squadra al lavoro su un progetto per realizzare un macchinario capace di riciclare le bottiglie in plastica usate trasformandole in filamento per le stampanti 3D. Del team fanno parte ragazzi di diversi Paesi, non solo europei, e bisogna fare i conti con diverse barriere culturali e linguistiche. A un certo punto ci chiedono di realizzare un video sul macchinario e ci fanno capire che le aspettative sono altissime. Ma noi mica studiamo queste cose! Insomma, siamo andate un po’ nel panico e scappate nel sottoscala. Ci serviva una parentesi per chiacchierare e alleviare la tensione.

A posteriori, è stata la cosa giusta, da fare?

Sì. Anche perché poi, a freddo, siamo riuscite a mettere in ordine le idee e abbiamo realizzato un trailer veramente niente male. Il pubblico e il nostro team l’hanno apprezzato tantissimo. 

Avete ribaltato la situazione: grandi! Video a parte, di cosa vi siete occupate?

Al business plan e alla parte social. Ogni giorno curavamo inoltre una presentazione che in serata veniva mostrata agli altri gruppi, una ventina in totale, tutti riuniti in una grande platea. Il PowerPoint più impegnativo è stato quello finale, più lungo e con il supporto di foto e video. Sui social abbiamo mostrato le diverse fasi della realizzazione. E poi abbiamo contribuito alle operazioni più manuali. Un esempio: limare le viti che andavano montate sul macchinario. 

Insomma, delle perfette e instancabili tuttofare: il viaggio ve lo siete organizzate da sole?

Il pernottamento, colazione inclusa, è stato offerto dal Gruppo ASA, azienda di San Marino che ha sostenuto la nostra partecipazione e quella di un terzo studente, che però ha fatto parte di un’altra squadra. L’evento era organizzato dalla realtà tedesca ITQ. L’evento era molto organizzato ed ecologico. L’acqua, per esempio, non veniva mai data in bottiglie di plastica. Erano di vetro e andavano riconsegnate. 

Ma il vostro macchinario non doveva riciclare proprio la plastica?

Infatti è stato un problema. Trovare le bottiglie che ci servivano è stata una sfida. Niente all’interno dello stabile, né nei bar e ristoranti dell’isola. Abbiamo bussato a tutte le porte, comprese quelle del nostro hotel. Poi ci siamo allargate a un raggio più ampio. Mica facile. 

Quella che veniva annunciata come una “maratona del fare” ha fatto fede al suo nome?

Sì, le attività iniziavano alle 9 e finivano alle 20. Un problemino, però: ci avevano fornite di una sola maglietta a testa per quattro giorni! Ne abbiamo chiesta un’altra, a un certo punto, per comprensibilissime ragioni di igiene.

Finito il lavoro, di sera, che si faceva?

Il nostro hotel si trovava in una zona movimentata, con ristoranti e feste a tiro. In quei giorni si svolgeva il carnevale: insieme ai ragazzi degli altri gruppi siamo stati alle sfilate con i carri ed è stato bellissimo. Meno esuberante di quello brasiliano, ma più coinvolgente rispetto all’Italia. Il nostro forse è più per i bambini, mentre alle Canarie ragazzi e adulti fanno baldoria fino alle 5 della mattina. Siamo state anche a concerti e in discoteca, tutto gratis. 

Se chiudete gli occhi e ripensate al Makeathon, cosa vedete?

I nostri compagni di team che lavorano al macchinario saldando per terra, in maglietta, scalzi, con una birra vicino. Prima di partire ci aspettavamo qualcosa di diverso. Ma è stato bello così.

 

Intervista di Francesca Coppola