Da una tesi di laurea: e se il cambiamento climatico ci trasformasse in bestie?

Per concludere il triennio in Design all’Università di San Marino, Sara Capucci si è proiettata in un futuro molto particolare: ce lo mostra in una serie di illustrazioni

Immagina di essere al buio. Totale: non vedi niente. Grazie al tuo olfatto, particolarmente raffinato, sai che ti trovi nel sottosuolo, perché senti odore di terra. Ti orienti con mani e piedi, perfettamente a tuo agio, in una serie di gallerie. Sono casa tua. Attenzione, lì c’è una radice. Appartiene a una quercia, ti basta sfiorarla per capirlo. La sensibilità nei tuoi polpastrelli: altissima.

Reset.

Luce, all’aperto. La pioggia ti bagna mentre balli sotto il diluvio. Le tue orecchie, immense, dondolano come antenne. Assorbono il ritmo scandito delle gocce che toccano terra, riuscendo a decifrare una musica percussiva che è magia. Non trovi?

Reset, ancora.

Ti guardi le braccia, sono coperte da uno strato di pelliccia di cui noti ogni sfumatura e dettaglio, come se potessi contare su una vista super. Non c’è nessuno attorno a te, e ci mancherebbe: la solitudine ti piace, è in questa dimensione che ti senti a tuo agio. C’è un’eccezione però: succede nelle notti in cui il cielo si riempie di stelle cadenti, quando ti raduni coi tuoi simili. Gli occhi, grandissimi, puntati all’insù.

Terzo reset, ora basta.

Mica semplici, questi esercizi d’immaginazione. A me sono stati ispirati da una conversazione con Sara Capucci, 23 anni, all’ultimo miglio prima della laurea in Design all’Università di San Marino. La sua tesi: un piccolo catalogo aperto su un futuro molto particolare.

Me ne ha parlato dalla sua casa di Villa Verucchio, nell’entroterra riminese. Una villetta dai toni chiari, circondati dalla terra smossa nei campi, che aspettano i primi germogli. C’è pace, i rumori sono pochi, ben distinguibili. La natura si sente, presente.

Sara mi accompagna nella sua tana creativa, la mansarda. Pacata, sobria, di poche parole: dietro ai folti boccoli mori sembra nascondere un’evidente inquietudine. Il primo sospetto, sano, è che sia una persona che prima assaggia e poi elabora, curiosa ed equilibrata, razionale e misurata.

Spuntano due gatti. Il primo, nero, si comporta come se io non fossi lì. L’altro, bianco, si avvicina. Cerco di toccarlo, senza successo. Sale su una libreria e mi ribalta addosso un bonsai.

Sara mi guarda scocciata, poi scoppia in una risata. 

Iniziamo a parlare del suo progetto, “Post Umana Evolutio”. 

 

Al centro della tua tesi ci sono tre ‘bestie’: le puoi descrivere?

Il primo è l’Homo Auris, con delle orecchie enormi. Gli servono per distinguere fino ai suoni più difficili. Non vuole perdersi nessun rumore, desidera apprezzare ogni suono. La struttura sociale della sua specie si basa sui rumori dei movimenti, sui suoni dell’ecosistema naturale. Anche per questo, è una creatura non verbale. Ama la pioggia e danza al suono delle gocce sul terreno. In ogni movimento, è super silenzioso e delicato: così può ascoltare.

Vive in piccoli branchi, come succede anche l’Homo Tactonaris, che ha narici enormi e i recettori sensoriali delle mani parecchio sviluppati, perché dove abita lui, sottoterra, è completamente buio.

L’Homo Auris vive in comunità in cui sono tutti alla pari, senza gerarchie. Per l’Homo Tactonaris, che ha un rapporto particolare coi suoi simili perché si toccano in continuazione, il rispetto per gli anziani invece è fondamentale. Contribuisce a una struttura gerarchica basata proprio sull’esperienza dei più longevi.

Infine, l’Homo Oculatos, un solitario. Ha gli occhi giganti, con i quali individua ogni bacca, di cui è ghiotto. Se ne sta a lungo a osservare attentamente gli altri animali. Ma non li vuole cacciare: è erbivoro.

Potrebbero essere i figli dei nostri dei nostri figli dei nostri figli?

Forse bisognerebbe pensare a un futuro ancora più distante.

 

In quale contesto è nata questi tesi? In altre parole, perché questo tema?

Mi avevano assegnato un tema: gli ecosistemi postumani. Sono stata chiamata a immaginare alcune caratteristiche di un futuro scenario al centro del quale non c’è più l’essere umano.

Potevo scegliere qualcosa di positivo, una sorta di evoluzione del presente. Invece ho adottato una visione più negativa, nella quale l’uomo fa un passo indietro rispetto alla civiltà. Tornando, di fatto, bestia.

Ovviamente, ci sono delle ragioni a monte di queste dinamiche. Risiedono nei cambiamenti climatici, dai quali deriva un nuovo ecosistema nel quale la specie umana torna a cercare un contatto con la natura che aveva completamente perso.

Cosa ti sei immaginata per arrivare a questi tre profili?

Mi sono concentrata sull’impatto ambientale dell’essere umano sul pianeta Terra. Mi sono informata sull’argomento attraverso tre letture (trovate i titoli in fondo all’articolo, ndr) che approfondiscono il motivo per cui l’uomo appare come una specie distruttiva nei confronti dell’ecosistema in cui vive e rispetto a tutte le altre specie.

Penso che il modo in cui ci siamo sempre considerati rispetto al resto degli esseri viventi, cioè in cima alla piramide della catena alimentare, sia una delle cause degli allarmi climatici che sembriamo non voler cogliere.

Con il mio progetto ho voluto dare uno scenario alternativo alla nostra estinzione, immaginando un’evoluzione, principalmente anatomica, degli esseri umani. L’obiettivo è riconquistare un rapporto equilibrato con la natura e le altre specie.

I dettagli di ciascuna ‘bestia’ come sono emersi?

Un giorno, mentre aiutavo un amico che studiava Scienze Microbiologiche, l’ho ascoltato parlare dell’homunculus somatosensoriale, la rappresentazione di come il nostro cervello ci vede, a livello di proporzioni fisiche, in base alla quantità di recettori sensoriali che abbiamo nelle varie parti del corpo. Ne deriva, a livello visivo, un essere deforme, bruttissimo e sproporzionato, con le mani giganti, per esempio, un nasone, le orecchie come bandiere. 

Per me è stata un’ispirazione.

Hai ipotizzato tre creature: perché non una quarta?

In realtà volevo anche lavorare su una bestia con i sensori della pelle ipersviluppati. Ma stavo incontrando delle difficoltà nel giustificarlo. Una creatura del genere impazzirebbe. Soffrirebbe e basta.

 

La pratica del disegno ti appassiona?

La figura umana mi interessava molto già dal liceo artistico. Se disegno qualcosa, anche per svago, spunta sempre un corpo umano deformato da qualche elemento esterno.

In particolare, mi concentro sulla figura femminile. Nel mio progetto di tesi però ho tenuto le specie abbastanza ‘fluide’, senza specificarne il sesso.

La tua tesi ha risultati suggestivi, ma parte da una riflessione profonda: cosa ti piacerebbe trasmettere?

Vorrei fosse uno stimolo per pensare a come gli umani vivono nel mondo. Siamo concentrati su priorità sbagliate, che non trovo in linea con la nostra natura. 

Suona brutto dire che stiamo perdendo le connessioni umane, ma è così.  Vale anche nei confronti del regno animale. Fatico a concepire come una specie possa definirsi molto più importante di qualsiasi altra. 

Mi piacerebbe far riflettere le persone su cosa stiamo facendo per il nostro futuro. E su che vivremo.

Il problema è che viviamo per un periodo molto breve: non ci permette di vedere le conseguenze delle nostre azioni. Proprio per questo, ho impostato il progetto come se qualcuno fosse andato avanti nel tempo e ci avesse portato una testimonianza del prossimo ecosistema. Con nuove esigenze e priorità. Magari inaspettate. Ma anche più giuste.

Intervista e foto di Laura Pesenti

 

Le letture indicate da Sara:
Melanie Challenger, How to be animal: a new history of what it means to be human
Melanie Challenger, On extinction: how we became estranged from nature
Ed Yong, Un mondo immenso. Come i sensi degli animali rivelano i regni nascosti intorno a noi