Come sono finita a fare uno stage fra gli astronauti

Una studentessa dell’Università di San Marino, iscritta a Design, racconta i suoi mesi a Colonia, in Germania, fra notti techno, serate jazz e giornate insieme a gente pronta per andare in orbita

Con in mano una macchina fotografica di ultima generazione, a pochi centimetri da un oblò ricavato in un sotterraneo e affacciato su una piscina, mentre davanti a lei un gruppo di persone faceva pratica con le immersioni, Emma Cardinali ha avuto la prova che per allenarsi a stare nello spazio, gli astronauti si esercitano anche sott’acqua. 

È successo qualche mese fa a Colonia, in Germania, mentre la 23enne del Titano, iscritta al corso di laurea in Design dell’Università San Marino, era impegnata nel tirocinio previsto dal suo percorso di studi. 

Un’occasione, questa, che l’ha catapultata in una realtà decisamente ambita, fra chi sogna di volare lassù, verso le stelle. Nel 2021, quando l’Agenzia Spaziale Europea ha ammesso 17 nuovi aspiranti astronauti al suo programma, le candidature erano state più di 22.500.

Quella in cui si è ritrovata Emma è stata quindi una cornice che prometteva meraviglie e sorprese, a stretto contatto con un ambiente dal quale ci si aspetta un altissimo livello di tecnologia, dedizione e ambizione. 

Per farmi un’idea più concreta l’ho incontrata di recente, poco dopo il suo ritorno a San Marino. 

I ricci definiti, neri, qualche ciocca biondo miele. Il sorriso timido, la voce calma, con una nota romagnola ben riconoscibile. A volte sembra abbia la testa fra le nuvole, altre che sia concentratissima, attenta a ogni dettaglio.

Emma si presenta così. Trasparente ed espressiva, pacifica e curiosa. Ci siamo incontrate vicino a casa sua, all’ombra di un vagone del vecchio treno che collegava Rimini al Titano. Il simbolo potenziale di un viaggio, questo, che faceva proprio al caso nostro. 

Ecco cosa ci siamo raccontate. 

 

Partiamo dall’inizio. Com’è nata la possibilità di un tirocinio all’estero?

Ero stanca di stare in Italia e fra le opzioni offerte dall’Università di San Marino c’era l’Agenzia Spaziale Europa, nella sede di Colonia. All’inizio la cosa è stata discussa con la responsabile degli stage di Design, poi ho mandato la mia candidatura e ho sostenuto due colloqui, uno per capire come me la cavavo con l’inglese e l’altro insieme al mio futuro capo.

Com’è stato l’impatto?

Mi hanno subito riempita di lavoro. Un bell’approccio, devo dire, perché mi ha messo subito alla prova. A livello umano mi sono trovata molto bene. Facevo parte della sezione che cura la parte media, lavorando principalmente con grafica, video e fotografia. Il capo era splendido, una di quelle persone che capiscono i giovani e cercano di stimolarli. Per lui non eravamo i classici stagisti ‘tutto fare’. Non ci faceva fare le fotocopie oppure dei lavoretti inutili. Ci ascoltava e ci dava spazio, rispettando i nostri punti di vista e la nostra creatività. Mi sono sentita molto rispettata. La percezione era di essere in un clima molto dinamico e stimolante.

Di cosa vi occupavate, precisamente?

L’attività era divisa in due. Una concentrata sugli astronauti, con interviste e simili. L’altra sulla formazione, con la realizzazione di lezioni dedicate ai nuovi candidati astronauti che dovevano essere selezionati, tenute da alcuni docenti e trasmesse sul web. Alcuni prof ci hanno chiesto anche di sistemare le loro presentazioni a livello grafico. 

È vero che sei finita sottoterra?

Sì, per un particolare training che si svolgeva in una piscina, dove gli astronauti seguivano delle lezioni di diving. Il nostro lavoro in quell’occasione è stato particolarmente indipendente e dinamico. Abbiamo sviluppato un’idea abbastanza particolare e chiesto di utilizzare una delle ultime Nikon arrivate, che aveva in dotazione un obbiettivo fish eye, secondo noi molto adatto. Scattavamo da una finestrella affacciata sul fondale. Sembrava di essere lì, in acqua insieme a loro. 

Il tirocinio è stato facile?

All’inizio capitava che alcuni progetti riguardassero attività che non mi piacevano tanto, come aggiustare le presentazioni delle lezioni per gli astronauti. Era abbastanza noioso. Ma devo ammettere che è un mio limite, a me serve essere stimolata, spinta. A parte questo, a livello generale penso di aver imparato più dalle persone con cui ho interagito, che dalle funzioni svolte. Venivamo tutti da background diversi. C’erano geologi, medici, informatici e figure specializzate in coding e realtà virtuale. Con il nostro team, concentrato su grafica, foto e video, lavoravano anche degli ingegneri. C’è stato uno scambio di competenze molto bello, devo dire. A livello di preparazione, quello che avevo acquisito all’università si è rivelato più che sufficiente.

Quanto è durato il tirocinio?

Dovevano essere quattro mesi, ma sono diventati sei, da marzo ad agosto.

 

Com’è stato l’impatto a livello sociale?

Mi sono integrata molto velocemente. Fare amicizia è stato semplice, perché all’agenzia ho trovato subito altri tirocinanti, molto inclusivi. Uscire insieme era sempre una possibilità. Poi c’era Dori, una mia coinquilina originaria di Budapest, studente di Psicologia. Uscivamo insieme e conoscevamo persone nuove. La gente era molto cordiale, aperta a fare nuove amicizie. A me poi piaceva anche girare da sola. Ricordo una serata in un jazz club in solitaria, bellissima. 

  

Attività nel tempo libero?

In Germania hanno la cultura del barbecue. Quindi, gran grigliate. Per il dopocena, bar oppure locali techno, molto diversi da quelli italiani. 

Una serata che ti è rimasta impressa?

Una volta siamo andate in un club molto famoso, l’Odonien, ricavato in una vecchia discarica. Tre o quattro ore di fila per entrare. Video e foto vietati, tanto che all’ingresso ci hanno dato uno sticker da attaccare davanti alla fotocamera. Dentro era un altro mondo. C’erano persone vestite in maniera molto stilosa, ma anche gente praticamente nuda. Oppure pulmini dentro i quali si ballava. Cose che in Italia non ho mai visto, francamente. È stato un bel tuffo nella cultura tedesca, fatta di eccessi diversi, rispetto ai nostri.  

A Colonia ci vivresti?

Non mi piace vivere in città, ho bisogno di più spazi, più natura. Me ne sono accorta proprio attraverso questa esperienza. Il mare, per esempio, mi è mancato tantissimo.Non lo avrei mai immaginato. 

Con i tuoi colleghi sei rimasta in contatto?

Assolutamente. Soprattutto con Laura e Lidia, le prime con cui ho lavorato. Una studentessa di Ingegneria francese e una designer bulgara con qualche trascorso in Italia. E poi abbiamo un gruppo WhatsApp con gente da tutto il mondo. Chi è in viaggio chiede se c’è qualcuno da incontrare a Malta, oppure in Danimarca, e così via. Stringendo rapporti con persone che provengono dai posti più diversi, vicini e lontani, senti che quando hai voglia di scappare per un pò puoi avere un appoggio praticamente ovunque. È una bella sensazione. 

 

Articolo e foto Laura Pesenti
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