Greta Lucia Petrulli ci racconta la sua esperienza nel servizio antincendio e di quella volta in cui ha supportato una squadra attraverso Facebook e Instagram, contrastando la disinformazione e agevolando i soccorsi
Se penso al fuoco mi vengono in mente due cose: i falò fatti in campeggio e le fiamme tamarre degli adesivi che il mio vicino di casa ha appiccicato sulle fiancate della sua Fiat Panda 4×4. Ma se immagino un incendio le cose cambiano e sono un po’ meno spiritose. Mi vengono in mente due parole: timore e pericolo. E altrettanti sentimenti: ammirazione e rispetto per gli esperti che intervengono quando le cose sembrano fuori controllo.
D’altronde, probabilmente le persone si dividono in due grandi categorie, in qualche modo opposte: chi scappa dal fuoco e chi, invece, si affretta per raggiungerlo e fare qualcosa.
Greta Lucia Petrulli, 20 anni, è una di loro. Volontaria dell’antincendio forestale, è impegnata nella sezione AIB-NOS (Antincendio Boschivo) del Gruppo Comunale di Protezione Civile di Monte Grimano Terme. Allo stesso tempo, è una studentessa del corso di laurea in Comunicazione e Digital Media dell’Università di San Marino.
L’11 luglio del 2021 era a casa con la sua famiglia. Era quasi l’ora di cena e stava per apparecchiare la tavola in giardino. Ma appena uscita, ha sentito puzza di bruciato. Per lei, è stato come ascoltare mille campanelli d’allarme.
Avete fiuto, voi antincendio, vero?
Nei mesi estivi, quando i rischi sono alti, diventiamo un po’ dei cani da tartufo. L’olfatto è sempre allerta, appena sentiamo fumo o bruciato proviamo a verificarne la provenienza. Ci viene automatico. Il fatto è che, in caso di incendio, ogni secondo è oro. E noi lo sappiamo bene.
Cosa è successo quella sera?
Mi giro e vedo alzarsi delle fiamme in mezzo a un campo in un paese vicino. In un attimo avverto mio padre, che è un volontario come me, e partiamo in auto. I minuti che precedono l’individuazione delle fiamme sono i peggiori: dalla strada si cerca di seguire il fumo a vista, poi si passa da un campo all’altro, muovendosi nel fumo fitto. Spesso non si vede quasi niente. In queste condizioni raggiungiamo una stradina sterrata. Riconoscendola, tiriamo un sospiro di sollievo: era la solita vecchietta, ormai sugli ottanta, che brucia le sterpaglie e se non ci vede almeno tre volte all’anno non è contenta.
L’avete rimproverata?
Macché. Ci ha accolti sorridente e con un ramo in mano, sembrava felice di vederci. Secondo me ci ha preso gusto. Ci ha assicurati che avrebbe spento tutto immediatamente, ma non ci siamo fidati. Abbiamo atteso che le fiamme fossero basse e siamo ripartiti. Una storia di stress, questa, ma a lieto fine. Quella sera l’Italia ha vinto gli Europei di calcio.
Come ti sei avvicinata a questo mondo?
Mio padre è il Coordinatore dell’antincendio boschivo locale. Molti pensano sia stato lui a trascinarmi, ma non è così. La mia è stata una dura lotta, caratterizzata da una lunga attesa. Ho passato anni a sognare di poter indossare una divisa gialla come la sua. Ma dovevo diventare maggiorenne. Appena ho compiuto i 18 anni ho iniziato la gavetta, fatta di corsi ed esercitazioni, e ora eccomi qui.
Com’è stato l’impatto iniziale?
Me ne sono innamorata subito, fin dalle prime esperienze. È un ambiente in cui si vive a pieno la collaborazione tra le diverse realtà, si è a strettissimo contatto con la natura, si ricopre un ruolo fondamentale per garantirne la sicurezza.
In cosa consistono i corsi per la sezione dell’antincendio boschivo?
Vigili del fuoco e comandanti della Forestale ci hanno accompagnati in un percorso teorico e pratico culminato in una vera e propria simulazione d’incendio, incluse tutte le procedure previste nei vari casi.
Com’è andata?
Facevo parte di un gruppo di quattro persone, me inclusa. Dovevamo raggiungere un incendio ma il nostro mezzo era troppo grande rispetto alla strada che dovevamo percorrere. Non ci passava. Quindi uno dei volontari si è appeso fuori dal finestrino e spezzare i rami e aprire un varco. Poi abbiamo fatto la prova delle ricetrasmittenti. Negli incendi grossi, quando interviene l’elicottero, dobbiamo essere in grado di dare le indicazioni giuste per guidare il pilota fino al punto preciso. Queste sono state due delle esercitazioni.
Dove operi, principalmente?
Il gruppo del quale faccio parte si occupa della zona del Montefeltro, in genere nel fine settimana. Significa che in estate si pranza leggeri, alle 14 si sale sul mezzo e si inizia a girare e raggiungere i punti panoramici per controllare eventuali fumi sospetti o fuochi accesi. Operiamo d’estate, nel periodo ad alto rischio.
I social, che riguardano il tuo percorso di studi, giocano un ruolo?
Ti racconto un episodio, anche se drammatico. Nell’agosto scorso ero in viaggio insieme a mio padre quando attorno a mezzanotte, abbiamo ricevuto la telefonata di un concittadino che ci segnalava fiamme visibili da chilometri di distanza. Abbiamo avvisato subito la nostra squadra e io, d’istinto, ho controllato cosa stava succedendo sui social. Una mossa banale? Tutt’altro.
L’incendio era già su Facebook e Instagram?
Erano apparsi post allarmanti, veniva segnalato che nessuno era ancora sul posto per spegnere le fiamme. Alcuni passanti avevano postato delle storie immortalando quello che per loro era semplicemente un evento ‘strano’. Anche se in buonafede, potevano bloccare le strade ai mezzi di soccorso, inconsapevoli del fatto che le fiamme girano velocemente e rimanere nella zona è la cosa più pericolosa da fare.
Come hai reagito?
Ho usato i canali social della Protezione Civile per tranquillizzare chi aveva paura e rispondere ai post fornendo indicazioni più precise e informazioni puntuali, al contrario di quanto avevano fatto i passanti. Proprio attraverso i social ho scoperto che una mia amica, da ore, non riusciva a rintracciare suo padre, proprietario dell’unica struttura presente sul terreno che stava bruciando. L’ho tranquillizzata e tenuta aggiornata.
Un chiaro esempio di supporto a distanza tramite il web, il tuo.
Anche se non in divisa, cercavo di aiutare. Mi tenevo in contatto con la squadra che era sul posto insieme ai vigili per sorvegliare le fiamme che continuavano a crescere senza poter essere calmate, perché ormai troppo alte. Essendo notte, era troppo buio per far partire gli elicotteri. Hanno dovuto aspettare la mattina successiva, ma le squadre dei volontari si sono alternate per altre tre notti. Il fuoco andava sorvegliato, non sembrava voler spegnersi del tutto. Qualche settimana dopo, al ritorno dalla mia vacanza, i colleghi della mia squadra mi hanno portato nella zona dell’incendio, che aveva coinvolto diversi ettari. Il verde e il giallo dell’erba erano spariti, era tutto grigio e nero. Si sentiva ancora l’odore del rogo. Ricordo i gusci delle chiocciole caduti a terra e bruciati, insetti carbonizzati e, in cima, la carcassa di un cavallo che si era perso, in realtà, qualche mese prima.
Articolo di Martina Rinaldini
Foto di Greta Lucia Petrulli
Video di Irene Bacherotti