A chi non è successo di arrivare lungo coi tempi? A volte sono guai, ecco qualche esempio
Chiedere agli studenti se hanno mai fatto tardi la notte per studiare, come è perché, significa innanzitutto trovarsi di fronte a una vasta gamma di smorfie.
Qualcuno contorce la bocca in segno di fastidio, altri fissano il pavimento con imbarazzo, oppure scoppiano in risate nervose, quasi isteriche. C’è chi si gratta la fronte, chi si tocca il naso, chi alza lo sguardo al cielo supplicando affinché non accada mai più.
Che le risposte siano spesso affermative è quindi chiaro ancor prima che inizino a parlare. A quel punto, poi, scattano racconti dai contorni non proprio piacevoli. Ecco i quattro più intensi ed esilaranti raccolti nei corridoi dell’Università di San Marino.
Tilt totale
Giulia pensava di fare tutto in maniera veloce e indolore, che un’oretta sarebbe stata sufficiente. Così s’era preparata per bene. Scrivania ordinata come non mai, per evitare le distrazioni. Luci a profusione, perché le ombre la disturbano. Acqua a portata di mano, casomai la sete. Fogli, penne, fazzoletti da naso.
Erano le 22, la sera prima di un esame del corso di laurea in Design. Diviso in due parti, una pratica e l’altra teorica. La prima era già completata: si trattava di una rivista cartacea di otto pagine da realizzare in gruppo, impaginata usando programmi come Indesign e Illustrator. La seconda, ancora da preparare, era un’interrogazione individuale basata su un centinaio di slide fornite dal docente.
Il metodo di Giulia: leggere, sintetizzare i concetti in una serie di appunti e memorizzare. Così s’è messa all’opera.
Ma sono emersi dei problemi. Il primo: le slide non le erano sempre chiare e per capirle serviva qualche escursione su internet.
Alle 23, quando secondo i piani iniziali avrebbe dovuto aver finito, Giulia aveva ancora una montagna da scalare, la sua concentrazione in caduta libera.
“La forza di volontà deve essere tanta in quei momenti”, afferma oggi ricordando l’episodio. “Sei te contro te stessa”.
La mente faceva l’altalena tra i concetti da memorizzare e i pensieri sull’esame. Tutti negativi. E se andasse male? Se non fossi pronta?
Leggere, scrivere, rileggere, riscrivere. Giulia è andata avanti così fino all’1, quando ha completato gli appunti. Ha continuato su quelli. Ma si sentiva strana, bizzarre le sensazioni in giro per il corpo.
Ha iniziato a passeggiare su e giù per la stanza, tipo ballo di San Vito. Ripetendo le info riportate negli appunti.
“Ero nel disagio più completo”, dice. “Troppo stanca per poter assimilare i concetti”.
Alle 3 una nuova ondata di sconforto. Chi me l’ha fatto fare? Perché non c’ho pensato prima? Mi odio!
E ancora: maledetto il lavoro di gruppo, non avrebbe dovuto richiedere tutto quel tempo!
In fuga nel bagno, acqua gelida in faccia. E via di nuovo a ripetere fino allo sfinimento.
Alle 4 è andata a letto esausta e ha dormito due ore. Ha fatto colazione con la tazzina del caffè in un mano e nell’altra gli appunti da ripassare.
Alle 9 l’esame: trenta e lode.
Turbo in lattina
Tommaso doveva scegliere un oggetto di design e descriverne una serie di caratteristiche, incluse la sua storia e relazione con l’uomo. Doveva inoltre disegnarlo su una ventina di tavole, delle quali sei tecniche, cioè ineccepibili da qualsiasi punto di vista.
Era tranquillo: alle superiori aveva frequentato un istituto tecnico tecnologico e di disegni simili ne aveva fatti a centinaia, forse di più.
La sua scelta era caduta sulla lampada Toio, abbastanza articolata, con dei particolari tosti da rappresentare. Soprattutto, grande: alta un paio di metri, era complessa anche solo da far rientrare in un foglio. Tommaso se n’è accorto la sera prima dell’esame. Quando era troppo tardi per fare marcia indietro.
S’è messo al lavoro alle 20. Due ore dopo, aveva terminato appena quattro disegni e si sentiva già cotto.
Che fare a quel punto?
S’è ricordato il consiglio di un amico. Scolarsi un energy drink.
Ha funzionato? Eccome. Almeno fino alle 3. Poi, però, era più stanco di prima, distrutto. Tommaso stava colorando: un po’ di pressione in più sul foglio avrebbe creato un solco e compromesso tutto. Doveva stare attento.
“Non mi era mai successo nulla del genere”, ricorda. “L’ho vissuta come una sfida fra me e me stesso”.
C’è voluta un’altra lattina. Che gli ha messo il turbo. Ha finito le tavole due ore dopo, alle 5. Devastato.
Alle 7 si è svegliato con addosso i vestiti del giorno precedente. Prima di mettersi a letto non s’era cambiato e non l’ha fatto nemmeno prima di uscire per recarsi all’università.
Il voto: 26.
Laboratorio post apocalittico
Alessia, Gloria e Martina dovevano replicare in scala 1:3 una sedia di compensato progettata negli anni Ottanta. Ma con materiali diversi: hanno quindi scelto legno, sughero e plexiglass, che avrebbe garantito un effetto vetro.
L’idea era buona, ma non così semplice da concretizzare. Si sono infatti accorte che la colla usata per attaccare il plexiglass, trasparente, si vedeva ed era brutta. Le parti inoltre non combaciavano. Per forza: il prof aveva fornito le dimensioni sbagliate. Il progetto era da ricalibrare, quindi. Capita.
Che fare a quel punto?
Quando alla scadenza mancava una settimana, hanno deciso di ripartire daccapo. Hanno cambiato i materiali, mantenendo il sughero ma sostituendo plexiglass e legno con metallo e plastica. Così, senza trasparenza, la colla non si sarebbe vista.
La sera prima dell’esame, verso le 22, Alessia, Gloria e Martina erano pronte per assemblare i pezzi. Con una colla nuova, consigliata dal docente. Prima di aprirla ne hanno letto le istruzioni. C’era un avvertimento particolare: poteva essere tossica.
Preoccupate, si sono bardate di tutto punto. Occhiali, mascherina FFP3, guanti, grembiuli legati intorno alla vita, alcuni stracci sulle parti del corpo rimaste scoperte.
Simili a scienziate impegnate in un laboratorio post apocalittico, riprese in slow motion, si sono messe al lavoro. Il timore di intossicarsi era alto, così hanno usato meno colla possibile.
Sono andate avanti fino alle 3, quando hanno aperto le finestre per dare aria alla stanza.
Poi le pulizie: chi spazzava, chi buttava nella spazzatura i frammenti caduti, chi puliva il tavolo sul quale avevano lavorato.
Il giorno dopo, poi, la beffa. La loro sedia, assicurano, era impeccabile. Ma quelle degli altri gruppi di studenti no. Così il prof, perplesso, ha annullato la valutazione.
Un pinguino a passo di lumaca
Sempre loro, Alessia e Gloria, questa volta senza Martina. Dovevano realizzare un pinguino di carta alto poco meno di mezzo metro, composto da 42 sagome incollate fra loro, una specie di mosaico tridimensionale.
Il docente di Modellistica aveva dato una settimana di tempo e fornito le sagome da copiare e ritagliare, le misure e altre info. Fino alla sera precedente alla scadenza, armate di forbici e altri strumenti, Alessia e Gloria avevano completato i ritagli e le pieghe.
Si sono così trovate davanti a un mucchietto di foglietti e la prospettiva di un lavoro abbastanza ripetitivo. Richiedeva precisione, perché altrimenti il pinguino sarebbe apparso goffo, poco curato. Non proprio ciò che si aspettava il prof.
I pezzi erano formati da una parte che sarebbe rimasta visibile all’esterno e un’altra da attaccare dietro alla sagoma vicina. Per unirle andava usata la colla stick. Problematica: è scivolosa e ci mette parecchio tempo per fare presa.
Così bisognava stare lì come belle statuine, i pezzi fra le dita, fermi nel punto giusto. La pazienza richiesta, immensa.
A passo di lumaca, s’è fatta l’1. Lavoro finito? No! Avanti a lavorare, il pinguino era ancora in alto mare. Erano più o meno a metà dell’opera.
Alle 2 i primi segni di cedimento, Alessia e Gloria mute, preoccupate. A quel ritmo, non ce l’avrebbero mai fatta.
Hanno iniziato a ridere, un modo per sdrammatizzare. Dentro, sentivano un buco nero. Fuori dalle finestre era altrettanto scuro: notte fonda, buio pesto.
Verso le 2:30 è scattato l’istinto di sopravvivenza. Un trucco per accorciare i tempi: perché non usare lo scotch, almeno per tenere fermi i pezzi mentre la colla ‘tirava’?
Alle 3 filavano come il vento, ma ci sono comunque volute altre due ore di lavoro, fino alle 5.
La valutazione del prof, il giorno dopo: 5 punti su 5.
Interviste di Lucia Morri
Foto di Pierfrancesco Manfrin